domenica 26 novembre 2023

Nichiren fra nazionalismo e militarismo

Articolo sui rapporti fra Nichiren e il militarismo pubblicato dal blog Discutiamo del Giappone.


Nichiren fra nazionalismo e militarismo
di Cristiano Martorella

29 settembre 2008. Nichiren (1222-1282) fu fra i più importanti monaci buddhisti riformatori dell'epoca Kamakura, e il suo ruolo di spicco appare non soltanto nella religione, ma anche e soprattutto nella storia e nell'ideologia della nazione giapponese. Attualmente la sua figura militante è associata ad alcune organizzazioni buddhiste che ne usano il nome e gli insegnamenti senza approfondire uno studio storico del personaggio, e ne nascondono volutamente i risvolti più controversi. Paradossalmente queste organizzazioni si presentano come sostenitrici del pacifismo, senza rivelare le contraddizioni e le strumentalizzazioni che si sono operate sulla figura di Nichiren. Egli, infatti, non soltanto fu invocato nelle preghiere dei buddhisti desiderosi della pace mondiale, ma venne idolatrato dai nazionalisti giapponesi che ne fecero un modello della loro dottrina politica. La confusione operata sulla figura di Nichiren fu facilitata dagli stessi atteggiamenti intransigenti che il monaco ebbe durante la sua vita. In particolare, alcuni suoi insegnamenti risultarono adatti a giustificare la politica militarista e imperialista del Giappone. Nel 1260 Nichiren aveva presentato al governo giapponese un documento intitolato Rissho ankoku (Insegnamento corretto per la pace della nazione) in cui spiegava il suo punto di vista. Secondo Nichiren, il Giappone era divenuto l'unico paese dove si praticava ancora l'autentico buddhismo, essendo ormai stato cacciato dall'India ed essendo anche in declino nella Cina. Quindi il governo giapponese aveva la responsabilità di preservarlo intatto perché soltanto il paese del Sol Levante aveva quel dono degli dei, anzi doveva davvero impegnarsi per diffonderlo nel mondo. Per compiere questa missione, il governo giapponese avrebbe dovuto proibire tutte le altre religioni, arrestando e giustiziando i sacerdoti dei culti rivali, e radendo al suolo tutti i loro templi. Nichiren non si riferiva solo alle religioni straniere, ma anche alle altre scuole buddhiste avversarie che considerava responsabili di trasmettere un falso buddhismo. Quest'ultimo insegnamento è presente anche oggi in tutte le sette che si ispirano a Nichiren. Infatti esse dichiarano apertamente che soltanto il buddhismo di Nichiren è quello autentico, mentre ogni altra scuola buddhista è falsa. Per far comprendere meglio il rapporto esclusivo e speciale fra il buddhismo e il Giappone, Nichiren scrisse nell'oggetto di culto (Gohonzon), venerato dai suoi seguaci, i nomi di due divinità protettrici del paese del Sol Levante, Hachiman e Tensho Daijin. Quest'ultima è anche chiamata Amaterasu Omikami dagli shintoisti, ed è la dea del sole che fondò, secondo la mitologia giapponese, la dinastia imperiale. Nichiren non si fermò a dichiarare la necessità di eliminare le altre religioni, ma nel testo intitolato Kaimokusho (Aprire gli occhi) spiega come la religione fosse ormai praticata con violenza, e non bisognava fermarsi alle apparenze delle parole, bensì prepararsi allo scontro fisico e all'aggressività. Questo insegnamento fu immediatamento seguito dai suoi seguaci. Il samurai Shijo Kingo raccontò nelle sue lettere di aver combattuto ferocemente contro i suoi avversari, e ciò provocò il compiacimento di Nichiren che lo incoraggiò sempre, e soprattutto gli raccomandò prudenza considerando l'irruenza dell'amico. La crudeltà degli scontri non risparmiò nemmeno lo stesso Nichiren che fu più volte aggredito. Nel 1264, in un suo viaggio ad Awa, Kagenobu Tojo tentò di assassinarlo. Ciò non scoraggiò Nichiren che riprese la sua predicazione basata sulla pratica dello shakubuku. Lo shakubuku, letteralmente spezzare e sottomettere, era un metodo di conversione basato su una veemente predicazione capace di confondere l'auditorio con la provocazione e suscitare deliberatamente l'ira. Secondo Nichiren, era un metodo efficace di conversione perché produceva uno sconvolgimento emozionale e creativo. In realtà ciò provocò le antipatie e l'ostilità delle autorità governative, mal disposte a sopportare disordini e risse, e soprattutto delle altre sette buddhiste, divenute oggetto di una critica feroce e violenta. Il risultato fu la condanna di Nichiren all'esilio per ben due volte, la prima dal 1261 al 1263 a Izu, la seconda dal 1271 al 1274 nell'isola di Sado. Nichiren giustificò le condanne che lo colpirono come una persecuzione nei confronti dei seguaci del Sutra del Loto, e ciò aggravò il suo fanatismo e la sua intolleranza. Infatti, quando fu liberato nel 1274, decise di ritirarsi in isolamento sul monte Minobu, dove visse in estrema solitudine. Durante la sua esistenza, aveva affermato la sicura salvezza attraverso la sua pratica religiosa, ma negli ultimi anni di vita incominciò a esprimere la speranza nella rinascita nel Ryozen jodo (La terra pura della montagna dello spirito), in netta contraddizione con l'insegnamento fino ad allora predicato. Nichiren aveva sostenuto che tutti i desideri espressi si sarebbero realizzati, purtroppo per lui non fu affatto così. Il governo giapponese non seguì i suoi consigli, i suoi avversari delle sette Zen e Jodo accrebbero il loro potere, e l'intero paese non scelse di seguire esclusivamente la sua religione. Nel Giappone contemporaneo non si professa affatto l'unica religione auspicata da Nichiren, ma è garantita la libertà religiosa a diversi gruppi di buddhisti, shintoisti e cristiani.

La vicenda esistenziale di Nichiren si è prestata a varie e contraddittorie interpretazioni. In particolare, Nichiren fu considerato come il salvatore del Giappone dall'invasione dei mongoli (1274 e 1281). Egli infatti aveva predetto, insieme ad altre terribili disgrazie, un'invasione da parte dei mongoli. In realtà la profezia di Nichiren era un po' differente, avendo auspicato una punizione per il popolo giapponese se non avesse seguito la sua religione. Ma ciò non avvenne perché i mongoli furono travolti da un tifone, e questo permise ai sacerdoti shintoisti di giustificare gli eventi come un atto della protezione degli dei attraverso il kamikaze (vento divino). I seguaci di Nichiren, invece, continuarono a sostenere che l'intervento del monaco fu provvidenziale, e addirittura egli avrebbe inventato la bandiera del Sol Levante (hinomaru) e l'avrebbe consegnata alle truppe giapponesi. Questa leggenda si è conservata nell'immaginario collettivo tanto da riapparire nelle considerazioni dei militari giapponesi. Quando l'ammiraglio Heihachiro Togo (1847-1934) si apprestava ad affrontare la flotta russa, egli si recò a pregare davanti all'enorme statua di bronzo di Nichiren che si trova a Fukuoka per ricordare la profezia dell'invasione dei mongoli. La vittoria schiacciante ottenuta a Tsushima (27 maggio 1905) sembrò convalidare la credenza che il Giappone avesse dovuto dominare il mondo. Altri militari e politici incominciarono a sostenere, interpretando a loro modo l'insegnamento di Nichiren, che la missione del Giappone consisteva nel diffondere la sua civiltà nell'intero pianeta. Sfruttando il fanatismo e l'intolleranza presenti nelle affermazioni di Nichiren, lo piegarono facilmente ai loro scopi politici. Nichiren sosteneva che l'unica religione vera fosse quella da lui predicata, e soprattutto condannava il lassismo e la passività, esortando al proselitismo e alla missione di kosen rufu (diffusione della fede). Nelle mani dei militari queste idee divennero una giustificazione della brutalità della guerra, considerata come una forma di rigenerazione e trasformazione del mondo. Un altro principio espresso da Nichiren, il principio di itaidoshin (diversi corpi uno stesso cuore), era manipolato per consolidare l'autoritarismo e la sensazione che il conformismo e l'obbedienza fossero il miglior bene auspicabile.

Fra i militari che sfruttarono il nazionalismo di Nichiren, spicca la figura del colonnello Kanji Ishiwara (1889-1949), un personaggio di spicco nella storia della guerra. Egli provocò, nel settembre 1931, l'incidente alla ferrovia presso Mukden in Manciuria, che diede l'avvio alla guerra con la Cina e all'invasione dell'Asia. Ishiwara era un sostenitore dell'occupazione dell'Asia e credeva nella necessità di uno scontro armato fra Stati Uniti e Giappone. Egli si basava sull'interpretazione della profezia di Nichiren, secondo il quale ci sarebbe stata una grande guerra che avrebbe messo fine a tutti i conflitti. Inoltre Ishiwara affermava che la guerra avrebbe spianato la strada alla ricostruzione e quindi fosse un processo di civilizzazione, e inoltre avrebbe risolto definitivamente la crisi economica.
Queste idee e interpretazioni di Kanji Ishiwara non erano isolate, ma erano molto diffuse e provenivano da un clima politico estremista e fanatico affermatosi in Giappone. Rinjiro Takayama (1851-1902) proclamò l'adesione incondizionata alla teoria della superiorità della nazione giapponese, e soprattutto si orientò verso una forma di individualismo di ispirazione nietzschiana, imperniato sulla convinzione che l'emozione estatica fosse il fattore più importante nella formazione dell'uomo. Per Takayama il superuomo nietzschiano era incarnato perfettamente da Nichiren. Ancora più esplicito fu Chigaku Tanaka (1861-1939), un esponente del partito nazionalista di destra, che nel periodo Taisho (1912-1926) promosse ciò che egli definì nichirenismo (nichirenshugi). Il nichirenshugi è una dottrina sviluppata come reazione ai movimenti dei lavoratori, e che sosteneva la fedeltà allo stato nazionale (kokutai) con a capo l'imperatore. L'influenza di Chigaku Tanaka fu forte nel periodo Taisho e fu una delle fonti del nazionalismo militante giapponese. La sua ideologia lasciò segni anche in Kakutaro Kubo (1892-1944) fondatore della setta Reiyukai.
Nissho Inoue (1886-1967) fu un altro fervente sostenitore del nichirenismo che interpretava il pensiero di Nichiren in chiave nazionalista e militarista. Nissho Inoue, oltre a sostenere con forza le sue idee come intellettuale e pensatore, divenne anche un attivista politico e leader del Ketsumeidan, un gruppo terroristico di estrema destra che provocò l'assassinio del ministro Junnosuke Inoue.
Anche i monaci si schierarono apertamente con il regime militare. Nell'aprile 1938 un gran numero di monaci eminenti della Nichiren Shu fondarono l'Associazione per la pratica del buddhismo secondo la via imperiale (Kodo bukkyo gyodo kai). A capo dell'associazione vi era il monaco Nichiko Takasa che sosteneva di aver raccolto circa 1800 iscritti. La Kodo bukkyo gyodo kai affermava l'unità divina del sovrano e del Buddha, e la venerazione dell'imperatore. Ciò era in netto contrasto con quanto predicato da Nichiren che affermava la superiorità del buddhismo nei confronti dello shintoismo, e la necessità che le autorità governative si adeguassero all'insegnamento della sua dottrina. Alcuni evidenziarono il contrasto e si verificò una parziale rottura fra laici e monaci che sarebbe divenuta più marcata nel dopoguerra. Infatti in quel periodo i dissidenti furono facilmente emarginati e messi a tacere con l'arresto.

Nella società contemporanea ci sono molte sette religiose e organizzazioni di laici che si ispirano a Nichiren. Quasi sempre sono in conflitto fra loro, come il caso eclatante della Nichiren Shoshu che nel 1991 ha scomunicato i membri della Soka Gakkai. Le lotte e i conflitti fra le diverse scuole che si ispirano a Nichiren dimostrano la difficoltà a interpretare correttamente i suoi insegnamenti. Nichiren predicava l'unità dei fedeli della sua religione, nel rispetto del principio di itaidoshin. Però le varietà di interpretazioni che sono state fornite indicano anche la necessità di una maggiore conoscenza storica delle vicende. Un approfondito studio che distingua una conoscenza approssimativa, o peggio, una completa ignoranza dei fatti, dalla consapevolezza della pratica buddhista. Infatti, il Buddha storico, Shakyamuni, insegnava che l'ignoranza è l'origine di tutti i mali. Riconoscere il problema è già l'inizio del cammino che porterà a risolverlo. Per questo motivo bisogna assolutamente squarciare il velo dell'illusione che ci presenta un buddhismo senza difficoltà, contrasti e contraddizioni. Questa illusione non rispecchia la storia del buddhismo che ha in sé anche molte vicende negative.


Bibliografia

Arena, Leonardo Vittorio, Lo spirito del Giappone. La filosofia del Sol Levante dalle origini ai giorni nostri, Rizzoli, Milano, 2008.
Filoramo, Giovanni (a cura di), Dizionario delle religioni, Einaudi, Torino, 1993.
Forzani, Giuseppe, I fiori del vuoto. Introduzione alla filosofia giapponese, Bollati Boringhieri, Torino, 2006.
Henshall, Kenneth, Storia del Giappone, Arnoldo Mondadori, Milano, 2005.
Komatsu, Hosho, Nichiren Shonin zenshu, Shunjusha, Tokyo, 1998.
Yampolsky, Philip, Selected Writings of Nichiren, Columbia University Press, New York, 1990.



giovedì 1 luglio 2010

La violenza del buddhismo

La violenza del buddhismo dalla storia alla dottrina
di Cristiano Martorella

1 luglio 2010. La diceria che descrive il buddhismo come una religione pacifica e dedita alla meditazione è tanto crudele quanto falsa. Purtroppo la storia del buddhismo ci descrive l'esatto opposto, e in Giappone troviamo gli esempi più eclatanti della trasgressione del principio di non-violenza di quei maestri buddhisti tanto venerati.
Chi non crede ai testi degli storici, giudicati frettolosamente come discutibili e quindi ignorati, può essere facilmente costretto alla resa ricorrendo alla semantica della lingua. Infatti i dizionari della lingua giapponese contengono una parola che emette una sentenza definitiva, chiara e irrevocabile. Questa parola è sohei. La parola sohei è composta da due kanji (caratteri cinesi) che significano monaco buddhista (so) e soldato (hei). I sohei erano monaci guerrieri armati che combattevano per gli interessi del proprio monastero o setta religiosa. Al contrario di quanto si possa pensare, i sohei non avevano soltanto funzione difensiva, ma partecipavano attivamente alle guerre. L'influenza politica dei monaci era così forte che il condottiero Nobunaga Oda decise di sterminarli affinché non ostacolassero la sua ascesa al potere. Il 29 settembre 1571, il tempio Enryakuji, principale monastero della setta Tendai, fu distrutto. I monaci e la popolazione civile furono uccisi senza pietà. Nel 1573 lo shogun Yoshiaki Ashikaga si alleò con i monaci guerrieri che combatterono contro il suo rivale. I monaci guerrieri ebbero sempre una parte importante nella storia militare del Giappone, fino a quando fu imposta la non belligeranza all'intero paese unificato e pacificato dallo shogunato Tokugawa (1603-1867).
Ciò che più preoccupa del fenomeno del buddhismo militante guerriero, è la disinvoltura con cui i maestri buddhisti alimentarono il fanatismo e l'istigazione alla violenza. Un esempio particolare è fornito dal rapporto fra il samurai Shijo Kingo e il monaco Nichiren. Conoscendo bene il carattere fiero e battagliero di Shijo Kingo, Nichiren ne sfruttò la psicologia a servizio della sua causa: la creazione di una setta buddhista che avrebbe dovuto avere l'egemonia in Giappone, eppoi nell'intero mondo. Invece di indurlo ad abbandonare le armi e cambiare stile di vita, Nichiren lo incoraggiò sempre nelle sue battaglie arrivando addirittura a dire che era preferibile "vivere un solo giorno con onore piuttosto che morire a centoventi anni in disgrazia". Un chiaro invito a morire per la sua causa.
Shijo Kingo sopravvisse, ma tanti altri seguaci di Nichiren morirono combattendo per lui, e le testimonianze sono fornite dalle lettere disperate delle vedove inviate al monaco con la richiesta di un aiuto. L'idea che Shijo Kingo fosse un violento irascibile non è una malevole critica dei suoi detrattori, ma un fatto storico riconosciuto anche dai suoi ammiratori (1).
Gli episodi di violenze e aggressioni fra le sette buddhiste rivali furono tanto diffusi che le autorità decisero di prendere seri provvedimenti. Nel 1279 vi fu una repressione dei seguaci di Nichiren, un evento noto come Atsuhara honan (crisi di Atsuhara). In quella occasione furono arrestate ben 20 persone, e 3 furono condannate a morte e giustiziate.
Dunque sono innegabili le violenze compiute in nome del buddhismo. La questione non è più chiedersi quante furono le vittime, aspetto storicamente inconfutabile, ma perché ciò avvenne. La risposta è semplice. La dottrina di Nichiren rifiutava gli insegnamenti provvisori (shakumon) di Buddha, ritenuti meno importanti e degni di rispetto dell'insegnamento fondamentale (honmon). Purtroppo fra gli insegnamenti provvisori (shakumon) vi è anche il principio di non-violenza. Nichiren, al contrario, fondava la sua religione unicamente nella fede nel daimoku. Il daimoku è un mantra, una formula recitata ripetutamente composta dal titolo del Sutra del Loto e preceduta dalla parola namu che significa lode, onore (dal sanscrito namas). Daimoku, infatti, significa letteralmente titolo, e indica il titolo del Sutra del Loto, in giapponese Myoho renge kyo. L'invenzione della recitazione del daimoku non è opera originale di Nichiren, ma era già stata formulata da Kukai (2) della setta Shingon.
Nichiren aveva studiato in gioventù, quando era conosciuto col nome di Zeshobo Rencho (3), presso la scuola Shingon, e conosceva quindi molto bene le pratiche esoteriche. Anche se nei suoi scritti troviamo ferme critiche al buddhismo esoterico, e soprattutto invettive che ridicolizzavano le magie delle sette Shingon e Kegon (4), Nichiren non ebbe ritegno e scrupolo a farne comunque uso. Arrivò addirittura a sostenere il sesso tantrico affermando che recitando il daimoku durante l'amplesso sessuale si sarebbe raggiunta immediatamente l'illuminazione (5). La dottrina di Nichiren si distaccò gradualmente da ogni tipo di insegnamento buddhista, eliminando ogni questione di carattere dottrinale, e basandosi unicamente sulla fede e i benefici ottenuti dalla pratica religiosa. Il daimoku così divenne una pedissequa imitazione del nenbutsu, il mantra recitato dagli avversari della setta Jodo.
In realtà queste forme del buddhismo giapponese, che si combattevano molto ferocemente fra di loro, erano in effetti simili. Nichiren, Honen e Shinran predicavano gli stessi principi: uso esasperato del mantra, abbandono fideistico, esclusivismo settario. La setta Jodo, ad esempio, ha sempre sostenuto che i peggiori peccatori avrebbero avuto accesso alla Terra Pura semplicemente recitando il nenbutsu. Ciò è stato spesso interpretato come un'indipendenza della condotta della persona dalla grazia (tariki) del Buddha Amida. Secondo Shinran, il peccatore può essere salvato soltanto tramite la fede che è un dono di Amida. Più un uomo è sprovveduto spiritualmente, più ha la possibilità di essere salvato poiché essendo incapace del minimo sforzo personale, oppone anche meno resistenza alla forza salvatrice di Amida. Questo è il senso del paradosso di Shinran che diceva: "Anche i buoni andranno in paradiso, tanto più i cattivi!"
Il problema fondamentale del buddhismo giapponese in queste forme e accezioni, è di avere una spiccata tendenza alla amoralità. Un tratto caratteristico della religione autoctona giapponese, lo shintoismo, è di essere una religione dell'estetica, quasi estranea e disinteressata alla moralità. Spesso il bene si identifica con il piacere e la bellezza. Così avviene anche per il buddhismo giapponese quando concentra la pratica sull'ottenimento di benefici materiali. Infatti il buddhismo giapponese si mischiò e fuse in maniera irreversibile con le credenze shintoiste, tanto da rimanerne influenzato. Questo sincretismo è detto shinbutsu konko, oppure shinbutsu shugo, ma viene anche indicato col nome di ryobu shinto.
Pensatori come Nichiren, Honen e Shinran non si accorsero nemmeno di essere determinati dalle tendenze culturali della loro epoca, anzi dissero al contrario di distaccarsene e di essere originali. Tutto ciò non sarebbe un pericolo, anzi avrebbe aspetti interessanti e singolari se non fosse viziato da un abbandono fideistico che corrisponde all'eliminazione di ogni voce critica. L'idea di eliminare il dualismo bene-male (zen aku funi) e di contestare la rigidità dottrinale, costituisce uno sviluppo fervido e fecondo della filosofia giapponese ereditato appunto dal buddhismo e dallo shintoismo. Ma ignorare gli effetti devastanti che il fanatismo religioso può avere, come si è visto fin qui, rappresenta il pericolo più grave per la società, sia essa occidentale oppure orientale.
Chi crede nel buddhismo deve anche fermamente rifiutare l'obbedienza cieca a una fede che invece di illuminazione e saggezza produce ottusità e chiusura. Quando si chiede di "sostituire la fede alla saggezza" si sostiene implicitamente di rinunciare all'illuminazione e alla buddhità, ciò che un buddhista autentico non potrà mai accettare.

Note

1. Daisaku Ikeda parla di "tendenza alla collera". Cfr. Daisaku Ikeda, La saggezza del Sutra del Loto, Arnoldo Mondadori, Milano, 2005, p.188.
2. Cfr. Sutra del Loto, traduzione di Luciana Meazza, introduzione di Francesco Sferra, Rizzoli, Milano, 2006, p.22.
3. Nichiren, il cui vero nome alla nascita era Zennichimaro, fu avviato alla vita religiosa in giovane età, e nel 1237 fu ordinato monaco al Kiyosumidera col nome di Zeshobo Rencho. Si recò quindi all'Enryakuji per approfondire lo studio del pensiero Tendai, e poi a Koya, dove studiò le teorie Shingon.
4. La setta Shingon, fondata dal monaco Kukai, si ispira al buddhismo Vajrayana ed è di indirizzo tantrico, facendo ampio uso di mandala e mantra, e in particolare di rituali magici. La setta Kegon, detta scuola dell'ornamento floreale, è una scuola mahayanica che si fonda sull'insegnamento del sutra Avatamsaka. Il tema centrale della setta Kegon è l'unità e l'interdipendenza di tutte le cose e di tutti gli eventi.
5. Il gosho in cui si trova questa affermazione è intitolato I desideri terreni sono illuminazione. Cfr. Nichiren Daishonin, Gli scritti di Nichiren Daishonin, vol.4, Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai, Firenze, 2000, p.145.

Bibliografia

Arena, Leonardo Vittorio, Samurai. Ascesa e declino di una grande casta di guerrieri, Arnoldo Mondadori, Milano, 2002.
Arena, Leonardo Vittorio, Lo spirito del Giappone. La filosofia del Sol Levante dalle origini ai giorni nostri, Rizzoli, Milano, 2008.
Filoramo, Giovanni (a cura di), Dizionario delle religioni, Einaudi, Torino, 1993.
Forzani, Giuseppe, I fiori del vuoto. Introduzione alla filosofia giapponese, Bollati Boringhieri, Torino, 2006.
Henshall, Kenneth, Storia del Giappone, Arnoldo Mondadori, Milano, 2005.
Komatsu, Hosho, Nichiren Shonin zenshu, Shunjusha, Tokyo, 1998.
Moore, George Foot, Storia delle religioni, Laterza, Bari, 1963.
Sansom, George Bailey, Japan. A Short Cultural History, Stanford University Press, Stanford, 1978.
Sansom, George Bailey, A History of Japan to 1334, Stanford University Press, Stanford, 1958.
Yampolsky, Philip, Selected Writings of Nichiren, Columbia University Press, New York, 1990.

giovedì 17 giugno 2010

Aikokushin

Aikokushin, l'amor patrio
Lineamenti di storia della politica nazionalista giapponese
di Cristiano Martorella

7 maggio 2008. Lo spirito patriottico giapponese (aikokushin) è ben noto per i risvolti tragici provocati dallo sfruttamento nazionalista e propagandistico del regime autoritario instaurato dai militari nel XX secolo. Chiarire e capire come ciò sia avvenuto è il compito degli storici. L'apporto di ulteriori studi e ricerche è quindi benvenuto e utile per fornire nuove prospettive. Questo contributo si inserisce nel lungo dibattito sulle origini del totalitarismo, e intende distinguere gli aspetti culturali dalla matrice ideologica. Il Giappone, a differenza di Italia e Germania, non ha mai avuto una precisa base ideologica politica, e nonostante ciò ha realizzato un regime totalitario sfruttando le caratteristiche culturali del popolo giapponese. Però lo sfruttamento nazionalistico della cultura giapponese non può essere interpretato come una equivalenza. La cultura giapponese non è equiparabile in toto a un regime autoritario. Non sono le caratteristiche culturali ad aver generato il totalitarismo, ma la storia degli stati, il loro assetto istituzionale e politico, infine le relazioni internazionali.
Lo stato come entità trascendentale astratta è una creazione occidentale del XIX secolo (pur avendo la sua formulazione teorica già nel XVII secolo ad opera di Thomas Hobbes). La teorizzazione compiuta di tale entità è merito di Georg Wilhelm Friedrich Hegel. Purtroppo la storia ha visto coincidere la nascita dello stato-nazione con la smisurata crescita della potenza militare e il brutale sfruttamento del colonialismo. Hegel, al contrario, aveva magnificamente elaborato una mirabile sintesi fra i diritti individuali e l'organizzazione della collettività nello spazio politico dello stato, dove realizzare concretamente le facoltà e aspirazioni umane. Purtroppo il XIX secolo, e il seguente XX secolo, stravolsero la dottrina di Hegel facendo dello stato un'entità astratta al servizio di forze economiche e politiche brutali, crudeli e spregiudicate. Il Giappone seguì le democrazie occidentali imitandone le istituzioni e le leggi con la riforma Meiji (Meiji ishin) del 1867.
L'introduzione così rapida della democrazia non coincise però con un rafforzamento delle forze liberali (partiti, sindacati, movimenti politici, etc.) che furono sottoposte a un graduale indebolimento. In particolare, furono gravissimi gli attentati ai politici di orientamento liberale che assassinati crudelmente non poterono svolgere la propria attività. I fanatici di estrema destra ebbero con facilità la possibilità di creare un clima di instabilità favorendo l'eversione e i tentativi di colpo di stato. Ogni volta che lo stato mostrava la sua debolezza, essi fomentavano l'insoddisfazione popolare invocando lo spirito patriottico (aikokushin). Il processo di destabilizzazione fu molto lento e graduale poiché non mancavano le resistenze dei ferventi sostenitori delle democrazia (politici, imprenditori, insegnanti, studenti, giornalisti, operai, etc.). Disgraziatamente gli estremisti inflissero dei colpi durissimi alle istituzioni. Nel 1921 uccisero il Primo Ministro Hara Takashi presso la stazione di Tokyo. Fu un attentato brutale e spietato. Il 14 novembre 1930 fu aggredito il Primo Ministro Hamaguchi Osachi, morto l’anno successivo in conseguenza delle ferite riportate. Il 15 maggio 1932 fu assassinato nella propria residenza il Primo Ministro Inukai Tsuyoshi. Nello stesso anno furono uccisi il Ministro delle Finanze e capo del Rikken Minseito (Partito Costituzionale Democratico), Inoue Junnosuke, e il direttore della Mitsui, Dan Takuma. Nel 1936, durante un tentativo di colpo di stato, furono ammazzati il Ministro delle Finanze Takahashi Korekiyo e l'ammiraglio Saito Makoto.
Un aspetto particolare e fondamentale per capire la situazione complessa del militarismo giapponese del XX secolo, è costituito dalla cruenta lotta interna nell'esercito. Infatti, i militari negli anni '30 erano divisi in due fazioni avversarie: Kodoha e Toseiha. Dopo il fallimento del tentato colpo di stato del 26 febbraio 1936, la fazione Kodoha cadde in rovina e conobbe il declino politico. La Kodoha criticava aspramente l'eccesso di potere delle cricche economiche che detenevano un monopolio, avversava quindi gli zaibatsu e il capitalismo. Il declino della Kodoha permise così un più facile rafforzamento del legame fra militari e zaibatsu, eliminando gli elementi di attrito. La Toseiha (fazione di controllo) non intendeva cambiare la struttura dello stato, ma impadronirsene per condurre una guerra di conquista. Quindi privilegiava una riorganizzazione dell'esercito fondata sulla meccanizzazione delle unità e una specializzazione tecnica. Al contrario, la Kodoha (fazione della via imperiale) puntava sul ripristino dei valori spirituali tradizionali, e quindi sul cambiamento della società attraverso una riorganizzazione dello stato. La Kodoha riteneva prioritaria la riorganizzazione dello stato prima di qualsiasi intervento militare, e considerava l'Unione Sovietica l'avversario naturale del Giappone e delle sue mire espansionistiche. I militari che guidavano la Kodoha erano Araki Sadao e Masaki Jinzaburo. La supremazia della Toseiha significò anche un avvicinamento alle idee politiche della Germania nazista, come nel caso di Yamashita Tomobumi. Addetto militare all'ambasciata giapponese in Austria, Yamashita fu chiamato nel 1938 per una visita di cortesia a Berlino, dove simpatizzò con Adolf Hitler, mantenendo in seguito stretti legami col nazismo. Le forze armate giapponesi non avevano un'unica visione politica, inoltre non esisteva un partito politico di riferimento, e gli obiettivi erano diversi e contrastanti. Purtroppo la supremazia della Toseiha segnò la svolta rovinosa della politica giapponese che prima appoggiò la Germania nazista, eppoi fu trascinata in guerra contro gli Stati Uniti nel 1941. Tuttavia non erano tutti d'accordo con queste scelte che furono descritte come patriottiche da quei militari al potere interessati unicamente ai vantaggi per la propria fazione.
Gli estremisti sostennero sempre di essere dei patrioti (aikokusha), tuttavia è evidente che il loro amore per il paese era insincero, avendo desiderato di destabilizzare lo stato. Essi non erano affatto patrioti perché erano giunti a desiderare la distruzione dello stato giapponese, quando videre minacciati i propri interessi. Addirittura i fanatici tentarono anche di destituire sua maestà l'Imperatore Hirohito, quando egli decise di dichiarare la resa del paese. Il tenente colonnello Takeshita Masahiko fu l'artefice e organizzatore del tentato colpo di stato contro Hirohito. Il 14 agosto 1945 vi fu l'irruzione di ufficiali dello Stato Maggiore nel Palazzo Reale di Tokyo. Il maggiore Hatanaka Kenji uccise il generale Mori Takeshi, comandante delle guardie imperiali, fedele all'Imperatore e favorevole alla resa.
Queste azioni criminali furono facilitate dal consenso che l'estrema destra era riuscita a creare. Il punto di svolta era costituito infatti dallo sfruttamento del sentimento nazionalistico e del sincero patriottismo. Gli intellettuali di estrema destra furono abilissimi nell'elaborare dottrine e piani politici d'intervento che coinvolgevano la popolazione. Spesso le loro idee non mancavano di originalità ed erano sofisticate e accurate. La propaganda riuscì così ad oscurare il buon senso e le ragioni dei liberali. Il più noto attivista politico di estrema destra fu Kita Ikki, instancabile agitatore e pericoloso sovversivo, scrisse un volume che indicava chiaramente le azioni da intraprendere. L'opera era intitolata Piano per la ricostruzione del Giappone (Nihon kaizo hoan taiko, 1919) e sosteneva la necessità di eliminare il Parlamento, sospendere la Costituzione, realizzare una riforma agraria contro i latifondisti, espropriare le ricchezze dell'alta borghesia ed estirpare il capitalismo. Per ottenere ciò bisognava perseguire una politica di potenza militare, invadendo le zone dotate di risorse minerarie e petrolifere, conquistando la Manciuria, la Cina settentrionale e la Siberia. Kita Ikki affermava che la rivolta dei poveri contro i ricchi era un ristabilimento della giustizia. La matrice culturale a cui si rifaceva era però ben altra, ed era comune a molti intellettuali giapponesi. Si trattava del ruralismo (nohonshugi), un movimento ideologico che poneva al centro della società la comunità agricola, con il suo spirito di autogoverno. Il regime militarista fece del ruralismo il fondamento per il modello sociale del sistema imperiale. La comunità agricola, tesa a mantenere l'armonia sociale, doveva rappresentare il modello ideale al quale tutta la società giapponese si ispirava e conformava, una società priva quindi di contraddizioni e dunque conflitti e antagonismi (ma anche assente di dialettica fra le parti sociali). Un altro concetto che accostava il ruralismo era il familismo (kazokushugi), anch'esso mutuato dalla tradizione. Fra i discepoli di Kita Ikki, merita una considerazione Okawa Shumei, filosofo e studioso delle religioni che propugnava la necessità di un ritorno alle antiche tradizioni del Giappone. Nel 1925 egli fondò perciò la Società del paradiso e della terra (Gyochisha), e partecipò alla costituzioni di altre organizzazioni patriottiche. Altri pensatori come Gondo Seikyo e Tachibana Kosaburo espressero l'orientamento del “comunitarismo fraterno”. Questi intellettuali, Okawa Shumei, Tachibana Kosaburo, Gondo Seikyo, a cui va aggiunto anche Inoue Nissho, si fecero promotori di una autentica rivolta contro il modello occidentale in nome della cultura e spirito giapponese.
Purtroppo i sovversivi e i terroristi si inserirono prepotentemente in questo dibattito, sfruttando la situazione e dirigendo il malumore e la protesta. Difatti la critica al modello occidentale non implicava la scelta di azioni violente, e la politica imperialista e colonialista era perseguita già da quelle nazioni straniere tanto detestate. Le soluzioni proposte dagli estremisti di destra assomigliavano troppo al problema che si voleva risolvere: lo stato giapponese sarebbe divenuto un regime autoritario imperialista e colonialista che avrebbe combattuto con le armi il colonialismo occidentale.
La trasformazione dello stato giapponese avvenne in modo graduale e si avvalse di molte condizioni e caratteristiche favorevoli all'autoritarismo. Una di queste condizioni fu la concezione dell'individuo come strumento dello stato e lo sfruttamento del patriottismo. Questa strumentalizzazione degli esseri umani fu possibile grazie alla militarizzazione e mobilitazione del paese. Tramite la giustificazione della guerra contro i paesi che opprimevano il Giappone, si rendeva indiscutibile il processo di trasformazione in regime totalitario. La sindrome dell'accerchiamento e della minaccia del colonialismo occidentale fu un argomento tanto forte che ancora oggi ricompare in molti libri storici di autori giapponesi come spiegazione dell'intervento militare dell'Impero del Sol Levante. Bisogna però ristabilire il corretto rapporto causale fra gli eventi. L'esistenza del colonialismo occidentale in Asia è solo un fattore, un elemento, a cui si contrapponevano i nazionalisti giapponesi. Il regime autoritario fu creato tramite il graduale indebolimento delle istituzioni democratiche da parte degli estremisti di destra. Il merito e le colpe di ciò che accadde è da attribuirsi alle dinamiche delle relazioni fra forze politiche. La sindrome dell'accerchiamento del colonialismo occidentale funzionò come strumento di propaganda, così come lo sfruttamento del patriottismo, del nazionalismo e dell'identità culturale. Il regime utilizzò ampiamente le caratteristiche della civiltà giapponese, soprattutto lo spirito di gruppo (shudan ishiki), un aspetto profondamente radicato nella mentalità giapponese. Purtroppo tutte le facoltà apprezzabili ed encomiabili dello spirito di gruppo (shudan ishiki) diventano deprecabili quando degenerano nel conformismo. Fu il pedagogista Makiguchi Tsunesaburo a indicare il conformismo come male e insidia pericolosa per la libertà nella società giapponese. Il dilagante conformismo minacciava la capacità di critica, le proposte di prospettive alternative, la riflessione raziocinante e non emotiva. Infine favoriva l'obbedienza cieca e disumana, la crudeltà che schiacciava il singolo individuo, la credulità ignorante e superstiziosa. Il conformismo di gruppo (dantaishugi) è un male sociale che compromette ogni forma di democrazia, ed è quindi l'indizio e l'inizio dell'instaurarsi di un regime totalitario.
Il fatto storico più importante e vistoso fu comunque la militarizzazione della società. A differenza di Germania e Italia, il Giappone non sviluppò un'ideologia basata su un partito, bensì subì violentemente la penetrazione dell'esercito nelle istituzioni parlamentari e nel governo, in ogni aspetto della vita sociale, dalla famiglia alla scuola, fino al lavoro nell'industria. L'ideologia che si affermò fu il militarismo (gunkokushugi) in una forma totalitaria mai vista in precedenza. Infatti il militarismo giapponese del XX secolo non va affatto confuso con l'aristocrazia guerriera delle epoche precedenti. I samurai erano una ristretta classe aristocratica separata dalle altre, con precisi obblighi e doveri, quindi subordinata e soggetta al potere politico. L'esercito giapponese fin dal 1873, era invece un esercito di leva e la coscrizione era obbligatoria. Esisteva una mobilitazione totale della società al servizio dell'esercito. L'esercito era divenuto un'entità politica assimilante e coinvolgente che assoggettava ogni istituto (famiglia, scuola, industria). Tutti i cittadini erano soldati, e ognuno doveva fornire il proprio contributo per la causa che era il potenziamento militare del paese. In questo sistema non era però ben demarcato il confine fra i diversi poteri, anzi era tutto molto confuso e labile. In teoria il potere assoluto spettava all'Imperatore, ma nella realtà la Costituzione gli impediva di prendere iniziative. Il potere di governo era spesso nelle mani di militari che assumevano le decisioni più importanti senza consultare l'Imperatore e il Parlamento. Concretamente il potere era gestito in maniera dispotica, come in una caserma, con piccole e grandi prevaricazioni. Le rivalità fra militari erano forti, spesso a discapito della collaborazione. Il dialogo era assente, la comunicazione scarsa, mentre prevalevano i comandi, le esortazioni, il biasimo e gli slogan.
La propaganda era florida e si avvaleva della nota sensibilità artistica del popolo giapponese. Molti scrittori esaltarono l'eroismo e la dedizione dei soldati giapponesi in guerra, comunque la prodezza e il valore in questo caso erano autentici anche se materia della retorica. Il capitano Sakurai Tadeyoshi raccontò nel romanzo autobiografico Nikudan (Proiettili umani) l'assedio di Port Arthur durante la guerra russo-giapponese. La fama delle imprese dei soldati giapponesi giunse fino in Europa, tanto che persino uno scrittore italiano e corrispondente dall'estero, Luigi Barzini, ne riportò e narrò le gesta eroiche. Numerosi furono i poemi commemorativi, come il Canto in onore di Shirakami Genjiro, un trombettiere che suonò la carica anche se ferito a morte. I sacrifici del popolo giapponese in guerra non furono esaltati soltanto dai patrioti e dalla propaganda di estrema destra, anche alcuni scrittori di sinistra, e la cosiddetta puroretaria bungaku (letteratura proletaria), si occuparono dell'abnegazione dei cittadini che semplicemente amavano il proprio paese. In questo senso il patriottismo non era un argomento di esclusivo appannaggio della destra.
La militarizzazione del paese fu una catastrofe, tanto da essere indicata con un'espressione molto forte: kurai tanima (l'abisso oscuro, all'incirca l'epoca dal 1931 al 1945, ossia dall'invasione della Manciuria alla Guerra del Pacifico). L'elemento di discriminazione restava tuttavia la concezione dello stato poiché l'idea più diffusa considerava i cittadini come servitori della nazione. Anche accettando questa concezione, si riconosce facilmente come i militari abbiano tradito il proprio paese favorendo gli interessi personali, occupando ogni posto di potere, depredando le risorse della nazione. Perciò i libri di storia dovrebbero spiegare con più chiarezza e nei particolari il modo in cui i generali Tojo Hideki, Yamashita Tomobumi, Tani Hisao e tanti altri, usarono il potere assunto per arricchirsi, sfruttare e saccheggiare. La giustificazione della guerra servì a troppi militari per nascondere i propri furti, stupri e abusi. Questo fu il più alto tradimento del paese.

Bibliografia

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giovedì 10 giugno 2010

La prima guerra mondiale

Prima Guerra Mondiale
L'impegno dell'Impero del Sol Levante
di Cristiano Martorella

1. Premesse e considerazioni sulla storiografia

17 febbraio 2008. L'intervento del Giappone nella Prima Guerra Mondiale, in giapponese Daiichiji sekai taisen, è poco ricordato nei libri di storia occidentali. Ciò avviene perché politicamente scomodo. Infatti risulta estremamente facile condannare il militarismo giapponese quando è schierato con gli avversari ed è sconfitto, mentre è difficile accusarlo quando è alleato delle nazioni democratiche occidentali ed è vittorioso. In realtà la potenza militare del Sol Levante fu sostenuta e incoraggiata dalle potenze europee quando si opponeva alle nazioni rivali come la Germania e la Russia, mentre divenne invece una insidia quando minacciò gli interessi occidentali nell'Estremo Oriente. Ciò appare evidente con la Prima Guerra Mondiale, quando il Giappone era schierato con la Gran Bretagna e la Francia. Insomma, si trattò di un uso strumentale che non teneva in alcuna considerazione la diffusione dei diritti civili, e non sostenne in modo adeguato la fragile democrazia giapponese aggredita dagli estremismi. Nei libri di storia occidentali si racconta che il Giappone fosse un paese autoritario che divenne democratico solo dopo la sconfitta della Seconda Guerra Mondiale (1) nel 1945. Curiosamente questo stesso paese era alleato delle potenze occidentali nella Prima Guerra Mondiale, ossia già nel 1914. All'inizio del Novecento l'Impero del Sol Levante divenne una temibile potenza militare con il sostegno dell'Occidente fra il plauso e le lodi di tanti ammiratori, e anche parecchi aiuti materiali (2). Nel Giappone non vi era nulla di corrotto, lo era invece la mentalità dell'epoca che credeva nella forza degli eserciti e nel colonialismo come diffusione della civiltà. Questo saggio vuole raccogliere la descrizione puntuale e puntigliosa di alcuni eventi della Prima Guerra Mondiale ignorati dalla stampa. Ciascuno potrà poi trarne liberamente le dovute conseguenze cercando di conoscere la storia in modo completo e non lacunoso.

2. Il coinvolgimento politico e militare

Il coinvolgimento del Giappone nella Prima Guerra Mondiale fu abbastanza rapido. Ecco la cronologia degli eventi. A causa dell'attentato di Sarajevo del 28 giugno 1914, l'Austria dichiara guerra alla Serbia il 28 luglio. Il giorno 1 agosto 1914, la Germania dichiara guerra alla Russia. Il 3 agosto la Germania dichiara guerra alla Francia, il 4 agosto la Gran Bretagna dichiara guerra alla Germania, e il 12 agosto all'Austria. Il Giappone, su sollecitazione della Gran Bretagna, dichiara guerra alla Germania il 23 agosto 1914, appena tre settimane dopo l'inizio delle ostilità. L'intervento del Giappone fu voluto dalla Gran Bretagna, anche se riluttante e timorosa per l'ascesa della potenza nipponica. D'altronde il ruolo del Giappone nell'Oceano Pacifico era cruciale. La più potente flotta nell'Oceano Pacifico era giapponese. Soltanto i giapponesi potevano bloccare le navi tedesche presenti nelle vicinanze delle colonie, e impedire la minaccia e l'attacco tedesco verso l'India e l'Indocina. La Gran Bretagna aveva firmato già molti trattati d'alleanza con il Giappone. Il trattato anglo-giapponese del 1902 era stato rinnovato nel 1905, eppoi nel 1911. Il Giappone garantiva la protezione dell'India, possedimento britannico, dalle mire espansionistiche di Germania e Russia. Ma gli accordi fra Gran Bretagna e Giappone disturbavano la potenza americana. Gli Stati Uniti volevano espandere la loro influenza anche in Asia, inoltre avevano gravi problemi di politica interna con gli immigrati giapponesi. Essendo ottima manodopera capace di avviare attività imprenditoriali, gli immigrati giapponesi disturbarono i locali cittadini statunitensi e i loro egoistici interessi. Si arrivò addirittura a promulgare aberranti leggi locali contro i giapponesi. I bambini giapponesi erano esclusi dalle scuole col pretesto della mancanza di aule. Col Webb Act votato nello stato di California nel 1913, si vietava ai cittadini giapponesi di possedere terre. Queste angherie accrebbero smisuratamente il senso d'inferiorità e la volontà di riscatto dei giapponesi fermamente decisi a confrontarsi sullo stesso campo di battaglia degli occidentali: lo sviluppo della potenza militare.

3. L'impiego della marina militare

Nel 1914 la Marina imperiale giapponese (Dainihon teikoku kaigun) era la forza navale più potente presente nell'Oceano Pacifico, superiore anche ai contingenti statunitensi e britannici (3). Essa era composta da 22 corazzate, 2 incrociatori da battaglia, 15 incrociatori corazzati, 19 incrociatori protetti, 50 cacciatorpediniere, 40 torpediniere e 13 sommergibili. Le unità (4) più importanti erano le navi da battaglia Kawachi, Settsu, Fuso, Yamashiro e Ise, gli incrociatori Kongo, Hiei, Haruna, Kirishima, Kurama, Izumo, Iwate e Ibuki, gli incrociatori leggeri Chikuma, Hirado, Yahagi e Tone, i cacciatorpediniere Umikaze, Yamakaze, Sakura, Tachibana, Urakaze. Durante il periodo 1914-1918 furono impostate e costruite nuove navi da guerra, più potenti e innovative. Esse erano le navi da battaglia Nagato e Mutsu, gli incrociatori Tatsuta, Kuma, Tama e Yubari, i cacciatorpediniere Kaba, Kaede, Katsura, Kashiwa, Kusunoki, Matsu, Sakaki, Sugi e Ume. Tutte queste navi furono rilevanti e pregevoli, tanto che alcune di esse parteciparono anche alla Seconda Guerra Mondiale. Le corazzate Fuso e Yamashiro, costruite rispettivamente negli arsenali di Kure e Yokosuka nel 1912 e 1913, erano navi dalle linee armoniose, con l'armamento ripartito in due gruppi, e la protezione con una blindatura laterale massima di 305 mm. Entrambe affondarono nella battaglia dello stretto di Surigao il 25 ottobre 1944. Gli incrociatori Kongo, Haruna, Hiei e Kirishima, costruiti nel periodo 1911-1915, parteciparono a entrambi i conflitti mondiali. Al loro ingresso in servizio suscitarono notevole impressione perché imbarcavano un armamento principale che non trovava riscontro su nessun'altra unità similare, con 8 cannoni da 356 mm. La protezione raggiungeva uno spessore di 203 mm. L'apparato motore si componeva di 4 turbine ad accoppiamento diretto, con una potenza di 64000 HP e una velocità di 27,5 nodi. Kirishima e Hiei affondarono nel novembre del 1942 nelle acque di Guadalcanal, il Kongo affondò il 21 novembre 1944 presso Formosa, e l'Haruna fu distrutto dal bombardamento aereo del 27 luglio 1945 sull'arsenale di Kure. Quando apparvero nel 1907, l'Ibuki e il Kuruma furono i più potenti incrociatori corazzati costruiti al mondo. Durante la Prima Guerra Mondiale parteciparono alle operazioni intorno a Tsingtao e alla caccia alla squadra navale di Maximiliam von Spee. L'Ibuki fu la prima nave giapponese a imbarcare un apparato motore a turbina. Ritenuti superati, Ibuki e Kuruma furono smantellati nel 1923. La Marina imperiale giapponese vantò anche un altro primato. Essa fu fra le prime, insieme a quella di Stati Uniti e Gran Bretagna (5), a possedere navi adibite al trasporto di aerei. La Wakamiya Maru era una nave appoggio in grado di trasportare quattro idrovolanti Farman. Varata nel 1913, questa unità era capace di depositare con le sue gru gli aerei in acqua per il decollo, eppoi recuperarli dopo l'ammaraggio. Gli aerei Farman MF.7 erano impiegati come ricognitori e come bombardieri con circa dieci piccole bombe. Allo scoppio della Prima Guerra Mondiale, la Wakamiya Maru salpò alla volta del porto cinese di Tsingtao, colonia tedesca. Il 5 settembre 1914, due Farman giapponesi sganciarono alcune bombe sulla batteria costiera. Il 13 ottobre ci fu un duello aereo fra un velivolo Taube tedesco e un Farman giapponese. Si trattò del primo scontro fra aeroplani della Prima Guerra Mondiale. In totale, durante l'assedio di Tsingtao, conclusosi con la capitolazione tedesca, gli aerei della Marina imperiale giapponese eseguirono 50 missioni e sganciarono 200 bombe, affondando anche una silurante.
Gli eventi che portarono il Giappone alla guerra contro la Germania furono abbastanza rapidi. Come alleato della Gran Bretagna, il Giappone inviò un ultimatum alla Germania il 15 agosto 1914, esigendo la resa della base tedesca di Tsingtao. Le forze navali germaniche, agli ordini del capitano di vascello Mayer-Waldeck, erano composte dalle cannoniere Jaguar, Tiger, Iltis, e Luchs, dal cacciatorpediniere S 90 e dall'incrociatore protetto austriaco Kaiserin Elisabeth. La squadra navale nipponica era comandata dal viceammiraglio Satou, ed era composta dalle corazzate Suwo, Iwami e Tango, dagli incrociatori corazzati Iwate, Tokiwa e Yakumo, dall'incrociatore protetto Tone, e circa una dozzina di cacciatorpediniere. Le unità impiegate dal Giappone non erano le più importanti e moderne che restavano invece in riserva a difesa del Giappone. Ad esempio, la corazzata Suwo era una vecchia nave russa, la Poltava, catturata a Tsushima. Le navi moderne erano risparmiate e tenute al riparo per l'impiego nelle battaglie strategiche della futura espansione dell'Impero giapponese. Scaduto l'ultimatum, il giorno 23 agosto 1914, i giapponesi incominciarono la guerra. Il primo sbarco avvenne a 150 km a nord di Tsingtao. Il 4 settembre il cacciatorpediniere Shirotaye si incagliò in una roccia e fu perduto. Il 28 settembre iniziò un massiccio fuoco contro le postazioni nemiche dalle corazzate Suwo, Iwanami e Tango, coadiuvate dalle artiglierie di terra. Il cacciatorpediniere tedesco S 90 cercò la fuga, e durante la navigazione si scontrò con l'incrociatore giapponese Takachiho che affondò con tre siluri. Tuttavia l'S 90 fu costretto all'autoaffondamento perché non aveva nessuna base dove ripararsi e rifornirsi. Il 7 novembre 1914 la base tedesca si arrese definitivamente. Le forze giapponesi erano soverchianti e controllavano vaste zone dell'Oceano Pacifico. Queste condizioni furono determinanti allo spostamento delle forze germaniche dall'Oceano Pacifico, un ritiro forzato che costò la perdita di numerose unità. La squadra navale del viceammiraglio Maximilian Johannes von Spee, che schierava gli incrociatori corazzati Scharnhorst e Gneisenau, partì dall'isola di Pagan, raggiunse Tahiti, poi l'isola di Pasqua, e superato lo stretto di Magellano, affrontò nell'Oceano Atlantico le navi britanniche. L'8 dicembre 1914 la squadra di Spee fu distrutta nella battaglia delle Falkland.
La flotta giapponese aveva raggiunto i suoi scopi avendo eliminato le navi tedesche dall'Oceano Pacifico. Essa rimase inattiva fino al 1917, quando fu richiesto il suo intervento nel Mediterraneo. Si creò infatti una condizione inaspettata. I sommergibili tedeschi del tipo U-Boot erano divenuti una minaccia terribile per il traffico marittimo. In particolare la Francia che era impegnata in una vera lotta per la sopravvivenza, col nemico già penetrato oltre i confini nazionali, non era disponibile a temporeggiare. I rifornimenti che raggiungevano la Francia sulle rotte del Mediterraneo erano indispensabili. Così Gran Bretagna e Francia chiesero aiuto al Giappone. Era anche considerata la disponibilità da parte della flotta giapponese di ottimi cacciatorpediniere, fra i più moderni e versatili costruiti in quel periodo. Allora fu composta una squadra navale comandata dal viceammiraglio Satou, costituita dall'incrociatore protetto Akashi e dodici cacciatorpediniere, fra cui ricordiamo il Katsura, il Kusunoki e l'Ume. La squadra navale penetrò in Mediterraneo operando in completa sicurezza e allontanando i sommergibili nemici dalle rotte cruciali. Notevole fu l'impatto politico e morale di questa operazione. La squadra giapponese era la prima flotta asiatica nella storia che penetrava le acque europee per condurvi operazioni militari.
Il contributo bellico del Giappone fu anche rappresentato da importanti rifornimenti militari agli alleati. Nel 1917 il Giappone fornì alla Francia ben dodici cacciatorpediniere del tipo Kaba. Essi costituirono la classe Algerien e restarono in servizio fino al 1936, anno della radiazione e demolizione. Questi successi spinsero le autorità politiche del Giappone a consolidare e rafforzare i piani di potenziamento dell'apparato militare, purtroppo con le conseguenze tragiche che ben conosciamo.

4. Il debutto dell'aeronautica

I giapponesi furono i primi a comprendere l'importanza dell'aeroplano come macchina da guerra (6). L'Impero del Sol Levante aveva intensificato la crescita dell'industria che era pari alle maggiori potenze. Il primo aeroplano a volare era stato un biplano pilotato dal capitano Tokugawa Yoshitoshi, il giorno 19 dicembre 1910. Come ben sanno gli esperti di aeronautica, ciò che è fondamentale nella costituzione di una forza aerea è l'addestramento dei piloti. I giapponesi perseguirono questo scopo raggiungendo straordinari risultati. I successi militari del Giappone furono conseguiti soprattutto grazie alla preparazione e competenza del personale tecnico e dei piloti.
La formazione dell'aviazione giapponese cominciò nel 1909, quando fu formato uno speciale comitato per lo sviluppo dell'aeronautica. Ne facevano parte personalità di spicco sia militari che civili, con forte partecipazione di scienziati e docenti universitari. I piloti erano addestrati nelle scuole straniere, e gli ufficiali inviati in Francia e negli Stati Uniti. In questo ambiente crebbe il capitano ingegnere del genio navale Nakajima Chikuhei (7), un talento dell'aeronautica che congedatosi nel 1917 fondò l'Istituto dell'Aeroplano presso la prefettura di Gunma, eppoi la società Nakajima Hikoki. Nel 1910 era volato il primo aeroplano pilotato da un giapponese. Nel 1911 l'Esercito imperiale disponeva di tre Farman, un Antoinette, un Blériot, e due Wright. Presso l'aeroporto militare di Tokorozawa nella prefettura di Saitama, venne realizzata una fabbrica per la costruzione di aeroplani su disegni originali giapponesi. Così già nel 1912 volavano i due primi aeroplani costruiti in Giappone. Perciò quando i giapponesi attaccarono la colonia tedesca di Tsingtao, fecero un uso intenso degli aerei in loro possesso. Furono utilizzati otto aeroplani, di cui quattro idrovolanti biplani. Con queste macchine furono effettuati numerosi bombardamenti sulle fortificazioni e le imbarcazioni. Gli aerei erano equipaggiati con rastrelliere per il lancio di bombe ottenute da grossi proiettili di artiglieria muniti di dispositivi direzionali. Così fu affondata una nave silurante tedesca dagli abili aviatori nipponici. Inoltre i velivoli giapponesi si scontrarono in combattimento con un monoplano tedesco del tipo Taube.

5. La fine del conflitto e gli accordi internazionali

Nel 1918 la guerra ebbe termine, e il Giappone partecipò come nazione vincitrice alla conferenza di pace di Versailles. L'Impero del Sol Levante aveva ottenuto molti benefici senza gravosi oneri e pochissime perdite. Così gli vennero assegnati i territori germanici dello Shantung, il mandato sulle isole Marshall, Caroline e Marianne (tranne Guam). Ciò irritò terribilmente gli ambienti politici statunitensi ostili all'espansionismo nipponico in Cina e nel Pacifico. D'altronde i piani giapponesi di riarmo erano preoccupanti, e l'occupazione della Cina era un fatto grave non trascurabile. Durante la guerra, il Giappone aveva addirittura inviato una richiesta diplomatica, nota come "le ventun domande", al Presidente della Repubblica cinese Yuan Shih-kai. In questo documento si chiedevano zone di influenza nei territori dello Shantung, Honan e Manciuria. Inoltre si chiedeva di inserire personale giapponese nell'amministrazione pubblica e nella polizia cinesi. Era concretamente un tentativo di trasformare la Cina in un protettorato o colonia del Giappone. Yuan Shih-kai non aveva la forza di reagire e subì l'assalto dell'Impero del Sol Levante. Soltanto gli Stati Uniti si schierarono in difesa della Cina, e cercarono con la diplomazia di limitare le pretese giapponesi. Un compromesso fu raggiunto col trattato di Washington firmato il 6 febbraio 1922. Questo accordo fissava una limitazione negli armamenti navali, e quindi una riduzione della politica espansionistica delle grandi potenze, inclusi Stati Uniti e Giappone. Il contrammiraglio Ueda Yoshitake commentò l'accordo affermando che il Giappone non era ancora pronto a una guerra con gli Stati Uniti, ma non avrebbe sopportato a lungo la prepotenza di chi voleva schiacciarlo. I giapponesi si stavano preparando a combattere per sopravvivere, così almeno credevano. Era convinzione diffusa dell'epoca che i conflitti fra nazioni per il possesso delle risorse economiche fossero inevitabili.
La Prima Guerra Mondiale si concluse senza una effettiva risoluzione dei conflitti. La Germania avrebbe presto ripercorso il cammino che portava allo scontro con la Francia e la Gran Bretagna, mentre il Giappone avrebbe invaso la Cina (8). Come si deduce facilmente, fu la politica di potenza ed espansione a determinare il corso della storia del XX secolo. Il Giappone seguì lo stesso sventurato cammino delle nazioni occidentali. Risulta ingannevole credere che questo percorso sia determinato dalle istituzioni democratiche oppure autoritarie dei paesi in conflitto. In verità, come si è visto, la motivazione che fece agire le nazioni nella Prima Guerra Mondiale fu la volontà di potenza, ossia la loro politica espansionistica e colonialista. Questa politica apparteneva alle democrazie liberali come Francia, Gran Bretagna, Stati Uniti, quanto ai successivi regimi fascisti di Italia, Germania e Giappone. Si evince anche quanto le democrazie accettino facilmente le collaborazioni con i regimi autoritari se utili a perseguire i loro scopi di espansione commerciale ed economica. Il Giappone, non bisogna dimenticarlo mai, fu un alleato di Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti nella Prima Guerra Mondiale. Non si può cancellare questo fatto storico compromettente.
Le cause che scatenano le guerre sono il desiderio di possesso, la brama di potere, l'interesse economico. Le democrazie non sono immuni a questi impulsi, e la storia del colonialismo europeo ne è la dimostrazione più lampante. La Prima Guerra Mondiale è l'apice di questa mentalità che trova espressione nella politica di potenza. Il Giappone, anche se erede della tradizione orientale, condivise con pervicacia la medesima prospettiva, e divenne un artefice del progetto di modernità occidentale tanto da subirne le nefaste conseguenze.

Note

1. Anche Francis Fukuyama, in linea con la versione americana della democrazia esportata in Giappone, espone la stessa distorta visione mal documentata. La democrazia dell'epoca Taisho (1912-1926), basata su un sistema parlamentare eletto dai cittadini, viene completamente ignorata. Cfr. Fukuyama, Francis, La fine della storia e l'ultimo uomo, Rizzoli, Milano, 1996, p.71.
2. Gli aiuti più consistenti vennero dalla Gran Bretagna, la Francia, la Germania e anche l'Italia. Per quanto riguarda l'Italia, ricordiamo che nel 1904 il Giappone aveva in servizio due grossi incrociatori corazzati costruiti in Italia: il Kasuga e il Nishin. Il Kasuga pesava 7628 tonnellate, aveva una potenza di 14800 HP erogata da motori Ansaldo, una velocità di 20 nodi, e il cannone principale di prua era calibro 254 mm, mentre due calibro 203 mm erano a poppa. Kasuga e Nishin furono impiegati nella guerra russo-giapponese (1904-1905). Il Kasuga fu determinante nel bombardamento di Port Arthur con il suo potente cannone, e rilevante nella battaglia di Tsushima.
3. Ma le forze americane erano presenti maggiormente nell'Oceano Atlantico, a protezione delle rotte per l'Europa, e quelle britanniche nell'Oceano Indiano e nel Mediterraneo, per salvaguardare le colonie, e nell'Oceano Atlantico per garantire la difesa della madrepatria. Il Giappone possedeva alcune navi sottratte alla Russia durante la guerra del 1904-1905, e ciò spiega il numero elevato di unità in suo possesso. Però la sua industria non era ancora in grado di competere con gli Stati Uniti, nonostante i buoni risultati raggiunti e l'eccellenza in alcuni casi particolari.
4. La trascrizione dei nomi delle navi giapponesi, qui adottata, segue la convenzione usata dalle pubblicazioni dello Stato Maggiore della Marina italiana. Per evitare equivoci e fraintendimenti si sono conservati i nomi nella vecchia trascrizione già nota ai lettori italiani.
5. La prima nave della U.S. Navy ad essere adattata per il trasporto e decollo di aerei fu la Langley. La Langley era una autentica portaerei con un ponte di volo completo. Gli inglesi ottennero risultati simili con la Argus e la Furious, le prime portaerei della Royal Navy. Il Giappone può però vantare il primato di aver costruito la prima portaerei progettata e realizzata per tale scopo: la Hosho (1921). A differenza delle altre unità, che erano navi modificate e adattate per divenire portaerei, la moderna Hosho era una portaerei costruita appositamente su progetto specifico. Essa partecipò alla guerra cino-giapponese, al conflitto mondiale del 1941-1945, e fu radiata solo nel 1947.
6. Il preciso e puntuale articolo di Pier Francesco Vaccari pubblicato dalla rivista "RID" è esplicativo dello sviluppo dell'aereo da combattimento in Giappone. Cfr. Vaccari, Pier Francesco, La nascita e lo sviluppo delle forze aeree imbarcate giapponesi, in "RID - Rivista Italiana Difesa", n.12, anno XXV, dicembre 2006. I progettisti giapponesi ottennero buoni risultati con gli aerei da caccia e gli aerosiluranti, spesso superiori a quelli corrispettivi occidentali. Eccellenti per per le prestazioni di velocità, qualità aerodinamiche e maneggevolezza, anche gli idrovolanti e i ricognitori. Invece, a causa delle carenze della potenza dei propulsori, furono sempre deficienti i bombardieri pesanti scarsamente protetti e con un carico di bombe insufficiente.
7. Cfr. Sgarlato, Nico, I caccia Nakajima di Koyama e Itokawa, in "Aerei nella Storia", n.50, anno VIII, ottobre-novembre 2006.
8. Il 18 settembre 1931 a causa dell'attentato a Mukden, i giapponesi invasero la Manciuria. Nel 1932 venne creato il Manchukuo, uno stato fantoccio sotto il controllo giapponese. Nel 1933 l'occupazione della Cina settentrionale fu estesa ulteriormente. Il 7 luglio 1937 con l'incidente del ponte Marco Polo iniziò la guerra cino-giapponese su tutto il territorio del paese.

Bibliografia

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domenica 14 marzo 2010

Nazionalismo giapponese

Articolo sul nazionalismo e patriottismo giapponese pubblicato dal blog Discutiamo del Giappone [discutiamodelgiappone.blogspot.com].

Aikokushin, l'amor patrio
Lineamenti di storia della politica nazionalista giapponese
di Cristiano Martorella

7 maggio 2008. Lo spirito patriottico giapponese (aikokushin) è ben noto per i risvolti tragici provocati dallo sfruttamento nazionalista e propagandistico del regime autoritario instaurato dai militari nel XX secolo. Chiarire e capire come ciò sia avvenuto è il compito degli storici. L'apporto di ulteriori studi e ricerche è quindi benvenuto e utile per fornire nuove prospettive. Questo contributo si inserisce nel lungo dibattito sulle origini del totalitarismo, e intende distinguere gli aspetti culturali dalla matrice ideologica. Il Giappone, a differenza di Italia e Germania, non ha mai avuto una precisa base ideologica politica, e nonostante ciò ha realizzato un regime totalitario sfruttando le caratteristiche culturali del popolo giapponese. Però lo sfruttamento nazionalistico della cultura giapponese non può essere interpretato come una equivalenza. La cultura giapponese non è equiparabile in toto a un regime autoritario. Non sono le caratteristiche culturali ad aver generato il totalitarismo, ma la storia degli stati, il loro assetto istituzionale e politico, infine le relazioni internazionali.
Lo stato come entità trascendentale astratta è una creazione occidentale del XIX secolo (pur avendo la sua formulazione teorica già nel XVII secolo ad opera di Thomas Hobbes). La teorizzazione compiuta di tale entità è merito di Georg Wilhelm Friedrich Hegel. Purtroppo la storia ha visto coincidere la nascita dello stato-nazione con la smisurata crescita della potenza militare e il brutale sfruttamento del colonialismo. Hegel, al contrario, aveva magnificamente elaborato una mirabile sintesi fra i diritti individuali e l'organizzazione della collettività nello spazio politico dello stato, dove realizzare concretamente le facoltà e aspirazioni umane. Purtroppo il XIX secolo, e il seguente XX secolo, stravolsero la dottrina di Hegel facendo dello stato un'entità astratta al servizio di forze economiche e politiche brutali, crudeli e spregiudicate. Il Giappone seguì le democrazie occidentali imitandone le istituzioni e le leggi con la riforma Meiji (Meiji ishin) del 1867.
L'introduzione così rapida della democrazia non coincise però con un rafforzamento delle forze liberali (partiti, sindacati, movimenti politici, etc.) che furono sottoposte a un graduale indebolimento. In particolare, furono gravissimi gli attentati ai politici di orientamento liberale che assassinati crudelmente non poterono svolgere la propria attività. I fanatici di estrema destra ebbero con facilità la possibilità di creare un clima di instabilità favorendo l'eversione e i tentativi di colpo di stato. Ogni volta che lo stato mostrava la sua debolezza, essi fomentavano l'insoddisfazione popolare invocando lo spirito patriottico (aikokushin). Il processo di destabilizzazione fu molto lento e graduale poiché non mancavano le resistenze dei ferventi sostenitori delle democrazia (politici, imprenditori, insegnanti, studenti, giornalisti, operai, etc.). Disgraziatamente gli estremisti inflissero dei colpi durissimi alle istituzioni. Nel 1921 uccisero il Primo Ministro Hara Takashi presso la stazione di Tokyo. Fu un attentato brutale e spietato. Il 14 novembre 1930 fu aggredito il Primo Ministro Hamaguchi Osachi, morto l’anno successivo in conseguenza delle ferite riportate. Il 15 maggio 1932 fu assassinato nella propria residenza il Primo Ministro Inukai Tsuyoshi. Nello stesso anno furono uccisi il Ministro delle Finanze e capo del Rikken Minseito (Partito Costituzionale Democratico), Inoue Junnosuke, e il direttore della Mitsui, Dan Takuma. Nel 1936, durante un tentativo di colpo di stato, furono ammazzati il Ministro delle Finanze Takahashi Korekiyo e l'ammiraglio Saito Makoto.
Un aspetto particolare e fondamentale per capire la situazione complessa del militarismo giapponese del XX secolo, è costituito dalla cruenta lotta interna nell'esercito. Infatti, i militari negli anni '30 erano divisi in due fazioni avversarie: Kodoha e Toseiha. Dopo il fallimento del tentato colpo di stato del 26 febbraio 1936, la fazione Kodoha cadde in rovina e conobbe il declino politico. La Kodoha criticava aspramente l'eccesso di potere delle cricche economiche che detenevano un monopolio, avversava quindi gli zaibatsu e il capitalismo. Il declino della Kodoha permise così un più facile rafforzamento del legame fra militari e zaibatsu, eliminando gli elementi di attrito. La Toseiha (fazione di controllo) non intendeva cambiare la struttura dello stato, ma impadronirsene per condurre una guerra di conquista. Quindi privilegiava una riorganizzazione dell'esercito fondata sulla meccanizzazione delle unità e una specializzazione tecnica. Al contrario, la Kodoha (fazione della via imperiale) puntava sul ripristino dei valori spirituali tradizionali, e quindi sul cambiamento della società attraverso una riorganizzazione dello stato. La Kodoha riteneva prioritaria la riorganizzazione dello stato prima di qualsiasi intervento militare, e considerava l'Unione Sovietica l'avversario naturale del Giappone e delle sue mire espansionistiche. I militari che guidavano la Kodoha erano Araki Sadao e Masaki Jinzaburo. La supremazia della Toseiha significò anche un avvicinamento alle idee politiche della Germania nazista, come nel caso di Yamashita Tomobumi. Addetto militare all'ambasciata giapponese in Austria, Yamashita fu chiamato nel 1938 per una visita di cortesia a Berlino, dove simpatizzò con Adolf Hitler, mantenendo in seguito stretti legami col nazismo. Le forze armate giapponesi non avevano un'unica visione politica, inoltre non esisteva un partito politico di riferimento, e gli obiettivi erano diversi e contrastanti. Purtroppo la supremazia della Toseiha segnò la svolta rovinosa della politica giapponese che prima appoggiò la Germania nazista, eppoi fu trascinata in guerra contro gli Stati Uniti nel 1941. Tuttavia non erano tutti d'accordo con queste scelte che furono descritte come patriottiche da quei militari al potere interessati unicamente ai vantaggi per la propria fazione.
Gli estremisti sostennero sempre di essere dei patrioti (aikokusha), tuttavia è evidente che il loro amore per il paese era insincero, avendo desiderato di destabilizzare lo stato. Essi non erano affatto patrioti perché erano giunti a desiderare la distruzione dello stato giapponese, quando videre minacciati i propri interessi. Addirittura i fanatici tentarono anche di destituire sua maestà l'Imperatore Hirohito, quando egli decise di dichiarare la resa del paese. Il tenente colonnello Takeshita Masahiko fu l'artefice e organizzatore del tentato colpo di stato contro Hirohito. Il 14 agosto 1945 vi fu l'irruzione di ufficiali dello Stato Maggiore nel Palazzo Reale di Tokyo. Il maggiore Hatanaka Kenji uccise il generale Mori Takeshi, comandante delle guardie imperiali, fedele all'Imperatore e favorevole alla resa.
Queste azioni criminali furono facilitate dal consenso che l'estrema destra era riuscita a creare. Il punto di svolta era costituito infatti dallo sfruttamento del sentimento nazionalistico e del sincero patriottismo. Gli intellettuali di estrema destra furono abilissimi nell'elaborare dottrine e piani politici d'intervento che coinvolgevano la popolazione. Spesso le loro idee non mancavano di originalità ed erano sofisticate e accurate. La propaganda riuscì così ad oscurare il buon senso e le ragioni dei liberali. Il più noto attivista politico di estrema destra fu Kita Ikki, instancabile agitatore e pericoloso sovversivo, scrisse un volume che indicava chiaramente le azioni da intraprendere. L'opera era intitolata Piano per la ricostruzione del Giappone (Nihon kaizo hoan taiko, 1919) e sosteneva la necessità di eliminare il Parlamento, sospendere la Costituzione, realizzare una riforma agraria contro i latifondisti, espropriare le ricchezze dell'alta borghesia ed estirpare il capitalismo. Per ottenere ciò bisognava perseguire una politica di potenza militare, invadendo le zone dotate di risorse minerarie e petrolifere, conquistando la Manciuria, la Cina settentrionale e la Siberia. Kita Ikki affermava che la rivolta dei poveri contro i ricchi era un ristabilimento della giustizia. La matrice culturale a cui si rifaceva era però ben altra, ed era comune a molti intellettuali giapponesi. Si trattava del ruralismo (nohonshugi), un movimento ideologico che poneva al centro della società la comunità agricola, con il suo spirito di autogoverno. Il regime militarista fece del ruralismo il fondamento per il modello sociale del sistema imperiale. La comunità agricola, tesa a mantenere l'armonia sociale, doveva rappresentare il modello ideale al quale tutta la società giapponese si ispirava e conformava, una società priva quindi di contraddizioni e dunque conflitti e antagonismi (ma anche assente di dialettica fra le parti sociali). Un altro concetto che accostava il ruralismo era il familismo (kazokushugi), anch'esso mutuato dalla tradizione. Fra i discepoli di Kita Ikki, merita una considerazione Okawa Shumei, filosofo e studioso delle religioni che propugnava la necessità di un ritorno alle antiche tradizioni del Giappone. Nel 1925 egli fondò perciò la Società del paradiso e della terra (Gyochisha), e partecipò alla costituzioni di altre organizzazioni patriottiche. Altri pensatori come Gondo Seikyo e Tachibana Kosaburo espressero l'orientamento del “comunitarismo fraterno”. Questi intellettuali, Okawa Shumei, Tachibana Kosaburo, Gondo Seikyo, a cui va aggiunto anche Inoue Nissho, si fecero promotori di una autentica rivolta contro il modello occidentale in nome della cultura e spirito giapponese.
Purtroppo i sovversivi e i terroristi si inserirono prepotentemente in questo dibattito, sfruttando la situazione e dirigendo il malumore e la protesta. Difatti la critica al modello occidentale non implicava la scelta di azioni violente, e la politica imperialista e colonialista era perseguita già da quelle nazioni straniere tanto detestate. Le soluzioni proposte dagli estremisti di destra assomigliavano troppo al problema che si voleva risolvere: lo stato giapponese sarebbe divenuto un regime autoritario imperialista e colonialista che avrebbe combattuto con le armi il colonialismo occidentale.
La trasformazione dello stato giapponese avvenne in modo graduale e si avvalse di molte condizioni e caratteristiche favorevoli all'autoritarismo. Una di queste condizioni fu la concezione dell'individuo come strumento dello stato e lo sfruttamento del patriottismo. Questa strumentalizzazione degli esseri umani fu possibile grazie alla militarizzazione e mobilitazione del paese. Tramite la giustificazione della guerra contro i paesi che opprimevano il Giappone, si rendeva indiscutibile il processo di trasformazione in regime totalitario. La sindrome dell'accerchiamento e della minaccia del colonialismo occidentale fu un argomento tanto forte che ancora oggi ricompare in molti libri storici di autori giapponesi come spiegazione dell'intervento militare dell'Impero del Sol Levante. Bisogna però ristabilire il corretto rapporto causale fra gli eventi. L'esistenza del colonialismo occidentale in Asia è solo un fattore, un elemento, a cui si contrapponevano i nazionalisti giapponesi. Il regime autoritario fu creato tramite il graduale indebolimento delle istituzioni democratiche da parte degli estremisti di destra. Il merito e le colpe di ciò che accadde è da attribuirsi alle dinamiche delle relazioni fra forze politiche. La sindrome dell'accerchiamento del colonialismo occidentale funzionò come strumento di propaganda, così come lo sfruttamento del patriottismo, del nazionalismo e dell'identità culturale. Il regime utilizzò ampiamente le caratteristiche della civiltà giapponese, soprattutto lo spirito di gruppo (shudan ishiki), un aspetto profondamente radicato nella mentalità giapponese. Purtroppo tutte le facoltà apprezzabili ed encomiabili dello spirito di gruppo (shudan ishiki) diventano deprecabili quando degenerano nel conformismo. Fu il pedagogista Makiguchi Tsunesaburo a indicare il conformismo come male e insidia pericolosa per la libertà nella società giapponese. Il dilagante conformismo minacciava la capacità di critica, le proposte di prospettive alternative, la riflessione raziocinante e non emotiva. Infine favoriva l'obbedienza cieca e disumana, la crudeltà che schiacciava il singolo individuo, la credulità ignorante e superstiziosa. Il conformismo di gruppo (dantaishugi) è un male sociale che compromette ogni forma di democrazia, ed è quindi l'indizio e l'inizio dell'instaurarsi di un regime totalitario.
Il fatto storico più importante e vistoso fu comunque la militarizzazione della società. A differenza di Germania e Italia, il Giappone non sviluppò un'ideologia basata su un partito, bensì subì violentemente la penetrazione dell'esercito nelle istituzioni parlamentari e nel governo, in ogni aspetto della vita sociale, dalla famiglia alla scuola, fino al lavoro nell'industria. L'ideologia che si affermò fu il militarismo (gunkokushugi) in una forma totalitaria mai vista in precedenza. Infatti il militarismo giapponese del XX secolo non va affatto confuso con l'aristocrazia guerriera delle epoche precedenti. I samurai erano una ristretta classe aristocratica separata dalle altre, con precisi obblighi e doveri, quindi subordinata e soggetta al potere politico. L'esercito giapponese fin dal 1873, era invece un esercito di leva e la coscrizione era obbligatoria. Esisteva una mobilitazione totale della società al servizio dell'esercito. L'esercito era divenuto un'entità politica assimilante e coinvolgente che assoggettava ogni istituto (famiglia, scuola, industria). Tutti i cittadini erano soldati, e ognuno doveva fornire il proprio contributo per la causa che era il potenziamento militare del paese. In questo sistema non era però ben demarcato il confine fra i diversi poteri, anzi era tutto molto confuso e labile. In teoria il potere assoluto spettava all'Imperatore, ma nella realtà la Costituzione gli impediva di prendere iniziative. Il potere di governo era spesso nelle mani di militari che assumevano le decisioni più importanti senza consultare l'Imperatore e il Parlamento. Concretamente il potere era gestito in maniera dispotica, come in una caserma, con piccole e grandi prevaricazioni. Le rivalità fra militari erano forti, spesso a discapito della collaborazione. Il dialogo era assente, la comunicazione scarsa, mentre prevalevano i comandi, le esortazioni, il biasimo e gli slogan.
La propaganda era florida e si avvaleva della nota sensibilità artistica del popolo giapponese. Molti scrittori esaltarono l'eroismo e la dedizione dei soldati giapponesi in guerra, comunque la prodezza e il valore in questo caso erano autentici anche se materia della retorica. Il capitano Sakurai Tadeyoshi raccontò nel romanzo autobiografico Nikudan (Proiettili umani) l'assedio di Port Arthur durante la guerra russo-giapponese. La fama delle imprese dei soldati giapponesi giunse fino in Europa, tanto che persino uno scrittore italiano e corrispondente dall'estero, Luigi Barzini, ne riportò e narrò le gesta eroiche. Numerosi furono i poemi commemorativi, come il Canto in onore di Shirakami Genjiro, un trombettiere che suonò la carica anche se ferito a morte. I sacrifici del popolo giapponese in guerra non furono esaltati soltanto dai patrioti e dalla propaganda di estrema destra, anche alcuni scrittori di sinistra, e la cosiddetta puroretaria bungaku (letteratura proletaria), si occuparono dell'abnegazione dei cittadini che semplicemente amavano il proprio paese. In questo senso il patriottismo non era un argomento di esclusivo appannaggio della destra.
La militarizzazione del paese fu una catastrofe, tanto da essere indicata con un'espressione molto forte: kurai tanima (l'abisso oscuro, all'incirca l'epoca dal 1931 al 1945, ossia dall'invasione della Manciuria alla Guerra del Pacifico). L'elemento di discriminazione restava tuttavia la concezione dello stato poiché l'idea più diffusa considerava i cittadini come servitori della nazione. Anche accettando questa concezione, si riconosce facilmente come i militari abbiano tradito il proprio paese favorendo gli interessi personali, occupando ogni posto di potere, depredando le risorse della nazione. Perciò i libri di storia dovrebbero spiegare con più chiarezza e nei particolari il modo in cui i generali Tojo Hideki, Yamashita Tomobumi, Tani Hisao e tanti altri, usarono il potere assunto per arricchirsi, sfruttare e saccheggiare. La giustificazione della guerra servì a troppi militari per nascondere i propri furti, stupri e abusi. Questo fu il più alto tradimento del paese.

Bibliografia

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domenica 10 gennaio 2010

Koku jieitai

Koku jieitai
L'aeronautica giapponese dal dopoguerra a oggi
di Cristiano Martorella

10 gennaio 2010. La Forza Aerea di Autodifesa del Giappone (Japan Air Self Defense Force, JASDF), in giapponese Koku jieitai, nacque nel 1954 con assistenza e materiali americani. Inizialmente basata su aerei vetusti forniti dagli Stati Uniti, come il North American F-86 Sabre e il Lockheed T-33 Shooting Star, fu poi consolidata dalla produzione locale dei più moderni velivoli.
Negli anni '60 il caccia intercettore principale dell'aeronautica giapponese era il Lockheed F-104J Eiko. Gli F-104J, chiamati Eiko (Gloria) dai giapponesi, erano costruiti dalla Mitsubishi e dalla Kawasaki. Il primo reparto a ricevere gli intercettori F-104J fu il 201° Hikotai nel novembre 1962. Le versioni giapponesi dello Starfighter furono in totale 210 esemplari di F-104J e 20 del biposto F-104DJ. Il caccia intercettore F-104J Eiko era uno sviluppo del modello F-104G, ottimizzato per il combattimento aereo con il radar NASARR F-15-J31, il reattore J79-IHI-11A, e armato con quattro missili aria-aria Sidewinder.
La protezione aerea del Giappone era così affidata agli F-104J che avevano rispettabili prestazioni, con una velocità massima di 1845 km/h a 15000 m, che arrivava a Mach 2 in configurazione pulita, una velocità iniziale di salita di 254 m/s, e una quota di tangenza pratica di 15240 m.
Un aviogetto costruito localmente fu il progetto completamente nipponico dell'addestratore Fuji T-1 Hatsutaka, che volò per la prima volta l'8 gennaio 1958. Le industrie Fuji erano le eredi della fabbrica Nakajima (Nakajima Hikoki Kabushikigaisha), celebre per la costruzione dei migliori caccia, bombardieri e aerosiluranti usati nel conflitto mondiale. Il Fuji T-1F1 era un addestratore monoplano biposto con cabina pressurizzata, dotato di un apparato propulsivo costituito dal turboreattore nipponico Ishikawajima-Harima J3-IHI-3 da 1200 kg di spinta, sostituito da un modello J3-IHI-7 da 1400 sulla versione Fuji T-1F3. Le prestazioni di questo addestratore a getto erano soddisfacenti, con una velocità di 920 km/h, una tangenza operativa di 16000 m, e un'autonomia con serbatoi esterni di 1935 km. Ciò consentì che la maggior parte dei Fuji T-1 fossero ancora operativi negli anni '80, prima di essere sostituiti gradualmente da aviogetti più moderni.
Nel 1973 il Giappone ebbe in dotazione i primi McDonnell Douglas F-4EJ. Il pesante e potente cacciabombardiere F-4 Phantom fu utilizzato in Giappone per un totale di 140 esemplari. La McDonnell ne consegnò 10 esemplari, mentre 130 furono costruiti dalla Mitsubishi, la quale terminò la produzione nel 1981. La versione F-4EJ era una variante del tipo F-4E che poteva raggiungere una velocità di 2390 km/h o Mach 2,25. Dotato di un radar APQ-120, il McDonnell F-4E era armato con quattro missili aria-aria AIM-7 Sparrow a guida radar, e poteva montare sui piloni subalari anche missili aria-aria AIM-9 Sidewinder a guida infrarossa, mentre nel muso era installato un cannone a canne rotanti M61A1 da 20 mm.
Un altro velivolo di fabbricazione locale fu il cacciabombardiere Mitsubishi F-1 che volò la prima volta il 3 giugno 1975. Derivato dall'addestratore Mitsubishi T-2, il cui primo volo risale al luglio 1971, era ispirato al progetto francobritannico SEPECAT Jaguar. Il cacciabombardiere Mitsubishi F-1 era dotato di due turboreattori a doppio flusso Ishikawajima-Harima TF40-IHI-801A da 3570 kg di spinta ciascuno con postbruciatore, peso massimo di 13,6 t, velocità massima di 1700 km/h o Mach 1,6 e un'autonomia di 2595 km. L'armamento era costituito da un vasto arsenale di missili, bombe e razzi, fra cui il missile aria-superficie Mitsubishi ASM-1.
L'aeronautica militare giapponese fece un salto di qualità negli anni '80, quando i piloti ebbero la possibilità di ottenere il più avanzato caccia dell'epoca: il McDonnell Douglas F-15J Eagle. Le prestazioni di questo intercettore erano eccellenti, con una velocità massima di 2600 km/h, e un'autonomia massima di 4630 km, e un carico bellico di 7528 kg. Il Giappone realizzò un consistente programma basato sul potente e flessibile intercettore. Infatti furono costruiti su licenza, a partire dal 1980, un totale di 223 esemplari di F-15J. Il primo F-15J consegnato al Koku jieitai fu schierato nel 1981.
Gli Eagle giapponesi furono poi affiancati da un altro valido aereo, il Mitsubishi F-2, un cacciabombardiere derivato dal General Dynamics F-16. Il prototipo del Mitsubishi F-2 aveva volato il 7 ottobre 1995, e nonostante qualche ritardo, il primo lotto di aerei era stato consegnato nel 2002. La costruzione, basata sul modello F-16, aveva una fusoliera più lunga e ricoperta di materiale radar assorbente, e le superfici alari erano uno sviluppo innovativo con l'impiego di materiali compositi. Il cacciabombardiere F-2 ha un peso di circa 22 t, una velocità massima di 2200 km/h, una quota massima di 20000 m, e un carico fino a 9000 kg su 11 piloni esterni.
Infine l'aeronautica militare giapponese ebbe in dotazione, dall'11 marzo 1998, l'aereo radar all'epoca più moderno e avanzato: il Boeing E-767 AWACS. Quest'aereo poteva controllare un'area che andava dai 320 ai 500 km di raggio, con un'autonomia di 10370 km, garantendo il monitoraggio di un ampio spazio e coordinando l'attività dei caccia intercettori.
Questa è in breve la storia della JASDF (Japan Air Self Defense Force), la Koku jieitai, una forza militare erede di un'importante tradizione aeronautica che risente dei severi limiti imposti dalla politica, e per fortuna, non sembra costituire un potenziale aggressivo ma soltanto un deterrente difensivo.

sabato 14 novembre 2009

Nichiren e il militarismo

Nichiren fra nazionalismo e militarismo
di Cristiano Martorella

Nichiren (1222-1282) fu fra i più importanti monaci buddhisti riformatori dell'epoca Kamakura, e il suo ruolo di spicco appare non soltanto nella religione, ma anche e soprattutto nella storia e nell'ideologia della nazione giapponese. Attualmente la sua figura militante è associata ad alcune organizzazioni buddhiste che ne usano il nome e gli insegnamenti senza approfondire uno studio storico del personaggio, e ne nascondono volutamente i risvolti più controversi. Paradossalmente queste organizzazioni si presentano come sostenitrici del pacifismo, senza rivelare le contraddizioni e le strumentalizzazioni che si sono operate sulla figura di Nichiren. Egli, infatti, non soltanto fu invocato nelle preghiere dei buddhisti desiderosi della pace mondiale, ma venne idolatrato dai nazionalisti giapponesi che ne fecero un modello della loro dottrina politica. La confusione operata sulla figura di Nichiren fu facilitata dagli stessi atteggiamenti intransigenti che il monaco ebbe durante la sua vita. In particolare, alcuni suoi insegnamenti risultarono adatti a giustificare la politica militarista e imperialista del Giappone. Nel 1260 Nichiren aveva presentato al governo giapponese un documento intitolato Rissho ankoku (Insegnamento corretto per la pace della nazione) in cui spiegava il suo punto di vista. Secondo Nichiren, il Giappone era divenuto l'unico paese dove si praticava ancora l'autentico buddhismo, essendo ormai stato cacciato dall'India ed essendo anche in declino nella Cina. Quindi il governo giapponese aveva la responsabilità di preservarlo intatto perché soltanto il paese del Sol Levante aveva quel dono degli dei, anzi doveva davvero impegnarsi per diffonderlo nel mondo. Per compiere questa missione, il governo giapponese avrebbe dovuto proibire tutte le altre religioni, arrestando e giustiziando i sacerdoti dei culti rivali, e radendo al suolo tutti i loro templi. Nichiren non si riferiva solo alle religioni straniere, ma anche alle altre scuole buddhiste avversarie che considerava responsabili di trasmettere un falso buddhismo. Quest'ultimo insegnamento è presente anche oggi in tutte le sette che si ispirano a Nichiren. Infatti esse dichiarano apertamente che soltanto il buddhismo di Nichiren è quello autentico, mentre ogni altra scuola buddhista è falsa. Per far comprendere meglio il rapporto esclusivo e speciale fra il buddhismo e il Giappone, Nichiren scrisse nell'oggetto di culto (Gohonzon), venerato dai suoi seguaci, i nomi di due divinità protettrici del paese del Sol Levante, Hachiman e Tensho Daijin. Quest'ultima è anche chiamata Amaterasu Omikami dagli shintoisti, ed è la dea del sole che fondò, secondo la mitologia giapponese, la dinastia imperiale. Nichiren non si fermò a dichiarare la necessità di eliminare le altre religioni, ma nel testo intitolato Kaimokusho (Aprire gli occhi) spiega come la religione fosse ormai praticata con violenza, e non bisognava fermarsi alle apparenze delle parole, bensì prepararsi allo scontro fisico e all'aggressività. Questo insegnamento fu immediatamento seguito dai suoi seguaci. Il samurai Shijo Kingo raccontò nelle sue lettere di aver combattuto ferocemente i suoi avversari, e ciò provocò il compiacimento di Nichiren che lo incoraggiò sempre, e soprattutto gli raccomandò prudenza considerando l'irruenza dell'amico. La crudeltà degli scontri non risparmiò nemmeno lo stesso Nichiren che fu più volte aggredito. Nel 1264, in un suo viaggio ad Awa, Kagenobu Tojo tentò di assassinarlo. Ciò non scoraggiò Nichiren che riprese la sua predicazione basata sulla pratica dello shakubuku. Lo shakubuku, letteralmente spezzare e sottomettere, era un metodo di conversione basato su una veemente predicazione capace di confondere l'auditorio con la provocazione e suscitare deliberatamente l'ira. Secondo Nichiren, era un metodo efficace di conversione perché produceva uno sconvolgimento emozionale e creativo. In realtà ciò provocò le antipatie e l'ostilità delle autorità governative, mal disposte a sopportare disordini e risse, e soprattutto delle altre sette buddhiste, divenute oggetto di una critica feroce e violenta. Il risultato fu la condanna di Nichiren all'esilio per ben due volte, la prima dal 1261 al 1263 a Izu, la seconda dal 1271 al 1274 nell'isola di Sado. Nichiren giustificò le condanne che lo colpirono come una persecuzione nei confronti dei seguaci del Sutra del Loto, e ciò aggravò il suo fanatismo e la sua intolleranza. Infatti, quando fu liberato nel 1274, decise di ritirarsi in isolamento sul monte Minobu, dove visse in estrema solitudine. Durante la sua esistenza, aveva affermato la sicura salvezza attraverso la sua pratica religiosa, ma negli ultimi anni di vita incominciò a esprimere la speranza nella rinascita nel Ryozen jodo (La terra pura della montagna dello spirito), in netta contraddizione con l'insegnamento fino ad allora predicato. Nichiren aveva sostenuto che tutti i desideri espressi si sarebbero realizzati, purtroppo per lui non fu affatto così. Il governo giapponese non seguì i suoi consigli, i suoi avversari delle sette Zen e Jodo accrebbero il loro potere, e l'intero paese non scelse di seguire esclusivamente la sua religione. Nel Giappone contemporaneo non si professa affatto l'unica religione auspicata da Nichiren, ma è garantita la libertà religiosa a diversi gruppi di buddhisti, shintoisti e cristiani.

La vicenda esistenziale di Nichiren si è prestata a varie e contraddittorie interpretazioni. In particolare, Nichiren fu considerato come il salvatore del Giappone dall'invasione dei mongoli (1274 e 1281). Egli infatti aveva predetto, insieme ad altre terribili disgrazie, un'invasione da parte dei mongoli. In realtà la profezia di Nichiren era un po' differente, avendo auspicato una punizione per il popolo giapponese se non avesse seguito la sua religione. Ma ciò non avvenne perché i mongoli furono travolti da un tifone, e questo permise ai sacerdoti shintoisti di giustificare gli eventi come un atto della protezione degli dei attraverso il kamikaze (vento divino). I seguaci di Nichiren, invece, continuarono a sostenere che l'intervento del monaco fu provvidenziale, e addirittura egli avrebbe inventato la bandiera del Sol Levante (hinomaru) e l'avrebbe consegnata alle truppe giapponesi. Questa leggenda si è conservata nell'immaginario collettivo tanto da riapparire nelle considerazioni dei militari giapponesi. Quando l'ammiraglio Heihachiro Togo (1847-1934) si apprestava ad affrontare la flotta russa, egli si recò a pregare davanti all'enorme statua di bronzo di Nichiren che si trova a Fukuoka per ricordare la profezia dell'invasione dei mongoli. La vittoria schiacciante ottenuta a Tsushima (27 maggio 1905) sembrò convalidare la credenza che il Giappone avesse dovuto dominare il mondo. Altri militari e politici incominciarono a sostenere, interpretando a loro modo l'insegnamento di Nichiren, che la missione del Giappone consisteva nel diffondere la sua civiltà nell'intero pianeta. Sfruttando il fanatismo e l'intolleranza presenti nelle affermazioni di Nichiren, lo piegarono facilmente ai loro scopi politici. Nichiren sosteneva che l'unica religione vera fosse quella da lui predicata, e soprattutto condannava il lassismo e la passività, esortando al proselitismo e alla missione di kosen rufu (diffusione della fede). Nelle mani dei militari queste idee divennero una giustificazione della brutalità della guerra, considerata come una forma di rigenerazione e trasformazione del mondo. Un altro principio espresso da Nichiren, il principio di itaidoshin (diversi corpi uno stesso cuore), era manipolato per consolidare l'autoritarismo e la sensazione che il conformismo e l'obbedienza fossero il miglior bene auspicabile.

Fra i militari che sfruttarono il nazionalismo di Nichiren, spicca la figura del colonnello Kanji Ishiwara (1889-1949), un personaggio di spicco nella storia della guerra. Egli provocò, nel settembre 1931, l'incidente alla ferrovia presso Mukden in Manciuria, che diede l'avvio alla guerra con la Cina e all'invasione dell'Asia. Ishiwara era un sostenitore dell'occupazione dell'Asia e credeva nella necessità di uno scontro armato fra Stati Uniti e Giappone. Egli si basava sull'interpretazione della profezia di Nichiren, secondo il quale ci sarebbe stata una grande guerra che avrebbe messo fine a tutti i conflitti. Inoltre Ishiwara affermava che la guerra avrebbe spianato la strada alla ricostruzione e quindi fosse un processo di civilizzazione, e inoltre avrebbe risolto definitivamente la crisi economica.
Queste idee e interpretazioni di Kanji Ishiwara non erano isolate, ma erano molto diffuse e provenivano da un clima politico estremista e fanatico affermatosi in Giappone. Rinjiro Takayama (1851-1902) proclamò l'adesione incondizionata alla teoria della superiorità della nazione giapponese, e soprattutto si orientò verso una forma di individualismo di ispirazione nietzschiana, imperniato sulla convinzione che l'emozione estatica fosse il fattore più importante nella formazione dell'uomo. Per Takayama il superuomo nietzschiano era incarnato perfettamente da Nichiren. Ancora più esplicito fu Chigaku Tanaka (1861-1939), un esponente del partito nazionalista di destra, che nel periodo Taisho (1912-1926) promosse ciò che egli definì nichirenismo (nichirenshugi). Il nichirenshugi è una dottrina sviluppata come reazione ai movimenti dei lavoratori, e che sosteneva la fedeltà allo stato nazionale (kokutai) con a capo l'imperatore. L'influenza di Chigaku Tanaka fu forte nel periodo Taisho e fu una delle fonti del nazionalismo militante giapponese. La sua ideologia lasciò segni anche in Kakutaro Kubo (1892-1944) fondatore della setta Reiyukai.
Nissho Inoue (1886-1967) fu un altro fervente sostenitore del nichirenismo che interpretava il pensiero di Nichiren in chiave nazionalista e militarista. Nissho Inoue, oltre a sostenere con forza le sue idee come intellettuale e pensatore, divenne anche un attivista politico e leader del Ketsumeidan, un gruppo terroristico di estrema destra che provocò l'assassinio del ministro Junnosuke Inoue.
Anche i monaci si schierarono apertamente con il regime militare. Nell'aprile 1938 un gran numero di monaci eminenti della Nichirenshu fondarono l'Associazione per la pratica del buddhismo secondo la via imperiale (Kodo bukkyo gyodo kai). A capo dell'associazione vi era il monaco Nichiko Takasa che sosteneva di aver raccolto circa 1800 iscritti. La Kodo bukkyo gyodo kai affermava l'unità divina del sovrano e del Buddha, e la venerazione dell'imperatore. Ciò era in netto contrasto con quanto predicato da Nichiren che affermava la superiorità del buddhismo nei confronti dello shintoismo, e la necessità che le autorità governative si adeguassero all'insegnamento della sua dottrina. Alcuni evidenziarono il contrasto e si verificò una parziale rottura fra laici e monaci che sarebbe divenuta più marcata nel dopoguerra. Infatti in quel periodo i dissidenti furono facilmente emarginati e messi a tacere con l'arresto.

Nella società contemporanea ci sono molte sette religiose e organizzazioni di laici che si ispirano a Nichiren. Quasi sempre sono in conflitto fra loro, come il caso eclatante della Nichiren Shoshu che nel 1991 ha scomunicato i membri della Soka Gakkai. Le lotte e i conflitti fra le diverse scuole che si ispirano a Nichiren dimostrano la difficoltà a interpretare correttamente i suoi insegnamenti. Nichiren predicava l'unità dei fedeli della sua religione, nel rispetto del principio di itaidoshin. Però le varietà di interpretazioni che sono state fornite indicano anche la necessità di una maggiore conoscenza storica delle vicende. Un approfondito studio che distingua una conoscenza approssimativa, o peggio, una completa ignoranza dei fatti, dalla consapevolezza della pratica buddhista. Infatti, il Buddha storico, Shakyamuni, insegnava che l'ignoranza è l'origine di tutti i mali. Riconoscere il problema è già l'inizio del cammino che porterà a risolverlo. Per questo motivo bisogna assolutamente squarciare il velo dell'illusione che ci presenta un buddhismo senza difficoltà, contrasti e contraddizioni. Questa illusione non rispecchia la storia del buddhismo che ha in sé anche molte vicende negative.


Bibliografia

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